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"Erano le nove e mezza quando il re arrivò sul campo dei giochi. Era domenica. Un sole accecante, fra gente che esultava, applaudiva al suono della banda, gli atleti che reclamavano il privilegio di un saluto, le guardie che contenevano gli entusiasmi della folla, divise, mani e braccia in continua agitazione, un movimento e un frastuono da stordire. Non mi fu facile farmi sotto alla tribuna, inserito fra spinte, qualche cedimento, mi ritrovai davanti, in prima fila, allungai il braccio in mezzo a tante braccia. Tre colpi, tre soli colpi, come ho ripetuto in tribunale. Il re si è ripiegato sul suo corpo come aveva costretto a fare alla gente di Milano. "Non uccisi Umberto, uccisi il re". Lo disse più volte, non voleva passare per un assassino. Un gesto di grande senso politico, non un delitto. Ma solo il potere può rendere legale il delitto di Stato. Quindi, quello che doveva restare era l'esistenza di complotti, di trame sovversive, di giustificati provvedimenti per favorire l'ordine sociale. Colpire il socialismo sotto qualsiasi forma si presentasse, o comunismo o anarchia."